Biografia

Giuseppe Gentili è nato a Sarnano (MC) il 2/8/1948.

Ha conseguito la laurea in architettura nel 1973, con una tesi sulla riforma sanitaria e architettura ospedaliera, presso l'Università La Sapienza di Roma, Facoltà di Architettura.

Iscritto per la prima volta all’Albo Professionale degli Architetti di Roma nel 1975.

Attualmente e' iscritto all'Ordine degli Architetti di Macerata al n.30.

Dal 1974 al 1977 ha partecipato, come Corresponsabile alla Progettazione Architettonica dell'Ospedale Generale di Yaounde, in Cameroun, di 1.200 posti letto, quale dipendente della Società C.O.I.M.A. S.p.a. di Roma.
Contemporaneamente per la stessa società, in Cameroun, ha progettato un Hotel nella città di Douala e una lottizzazione a Yaounde.

Nel 1977 ha collaborato alla Progettazione di parte dell'area di Porto Cervo, in Costa Smeralda, in Sardegna.

Dal 1977 al 1980 ha partecipato alla Progettazione di nuovi allestimenti e restauro delle agenzie e sedi della Cassa di Risparmio di Calabria e Lucania.

Nel 1981 si trasferisce da Roma a Sarnano dove risiede tuttora, con Studio in Sarnano, Viale della Vittoria.

Nel 1982 ha partecipato ad un corso tenuto dal Prof. Antonino Giuffrè, a Senigallia, sulla Sicurezza Sismica dei Monumenti e Meccanica delle Murature Storiche.

Iscritto negli elenchi del M.I. Legge 818, certificazioni antincendio.

Lo studio all'interno della cinta muraria di Sarnano

Lo studio professionale occupa una parte dello spazio che una volta era quello degli spalti delle mura di Sarnano del 1540.

Queste sono le mura dell’ultima cinta per la difesa del paese che raggiungevano altezze anche fino ad 11,00 metri.

Nella metà del XVII secolo non essendo più necessarie a tal fine sono state recuperate per realizzare edifici residenziali, con al piano terra stalle per gli animali.

Lo spazio tra le mura di cinta e i primi edifici, di circa 3-4 metri nel 1640 come risulta dalla data incisa su di un mattone, è stato coperto con volte pesanti in mattoni e sopra sono stati realizzati ambienti residenziali per tre e quattro piani.

A livello terra sono ancora visibili le porte e le finestre delle facciate degli edifici prospicienti sul percorso di ronda, inglobate nei locali a volta.

All’interno verso monte ogni edificio disponeva di un accumulo d’acqua ricavato scavando delle profonde gallerie nella pietra arenaria, attraverso le venature della pietra sgorgava acqua più o meno abbondante derivata dalla pioggia che si infiltrava nelle aree alte di Sarnano costituendo dei veri propri depositi, anche con acqua corrente in minima quantità.

Lo scarico del troppo pieno avveniva e avviene tutt’ora tramite drenaggi realizzati interrati con sfogo esterno sulle pietre della cinta di mura.

Quest’acqua costituiva una ottima riserva sia per gli abitanti durante possibili assedi sia per gli animali ospitati allo stesso livello dell’edificio.


LA MACERA DELLA MORTE

(una storia vera)

“Era una notte buia e tempestosa” quando don Luigi fermò il furgone Ducati alle pendici del monte Comunitore, su i monti della Laga. Fabrizio, mentre scendevamo alla luce dei fari che radente illuminava l’erba secca e bagnata, ondeggiante sotto le raffiche di vento, disse che dovevamo prendere dei bastoni perché i cani dei pastori a breve ci sarebbero venuti sicuramente addosso. Mentre la luce del Ducati si rifletteva su una fitta pioggia gelata che cadeva tracciando decise linee diagonali nell’aria, ognuno di noi si preoccupò di procurarsi dei rami dal vicino bosco e con gesti violenti strappando i rametti superflui, tentavamo di ricavarci dei lunghi e solidi bastoni, perché l’avvertimento di Fabrizio era più che opportuno e purtroppo per me drammaticamente inevitabile. Quali cani? chiese con tono molto interrogativo e sorpreso don Luigi, il quale ignaro di tutto era venuto a prelevarci dopo una nostra telefonata vestito alla leggera e con sandali francescani ai piedi, abbigliamento giustificato visto che eravamo alla fine di luglio.

Al limite della luce del furgone anche Massimo Sargolini e Massimo Pettinari armeggiarono freneticamente vicino ad un cespuglio di carpini per procurarsi i bastoni. Io, che ogni gesto ed ogni cosa, serviva ad allontanare mentalmente il più possibile il pensiero di affrontare i cani, dei quali fin da piccolo avevo una paura incontrollata, notai anche che i bastoni di Massimo e Massimo erano di carpino nero, mentre sfrondavo un ramo per procurarmi la mia sicurezza. Per me più che il bastone la sicurezza la dava una piccola pila che stringevo nervosamente nella mano, pila che per fortuna e con visione da veggente fu portata da Fabrizio nel pomeriggio quando partimmo dalla Macera della Morte, dove avevamo piantato le tre tende, alla ricerca di derrate alimentari nel presupposto vicino villaggio di Colle, così aveva indicato nella mattina un pastore incontrato durante la salita.

Quando avevo sei o sette anni, un giorno mentre scendevo dalla frazione “li Virtì” verso “li Joffi” appena superato l’angolo dell’antica casa, ora demolita, di Ovidio Cantarini (detto Dovilio de Cantarì), un cane, che probabilmente era il suo ma non l’ho mai saputo, mi si avventò addosso abbaiando e rincorrendomi. Scappai in una corsa disperata lungo la strada in discesa che portava a casa di mia zia Rita, nella quale arrivai sfinito e senza respiro con il tradizionale cuore in gola senza mai volgermi indietro: da quella volta la presenza di un qualunque cane che non fosse il mio mi terrorizzava, figuriamoci i cani dei pastori e per di più, di notte.

(continua...)