Riflessioni


Un grande errore culturale l'unione dei Comuni

In questi mesi, specialmente nel nostro territorio, si parla spesso e si propone fusioni o unioni di Comuni con molta leggerezza, superficialità e incoscienza.

Sarebbe il caso di fermarsi a pensare e riflettere sul significato di Comune e della conseguente fusione o unione; una legge dello Stato Italiano finalizzata al solo risparmio senza considerare le implicazioni culturali di operazioni di questo genere.

Credo non sia chiaro a nessuno quello che si perde, senza essere certi del risparmio.

I liberi Comuni nacquero nel medioevo sec. XI-XIII, nell’Italia del centro-nord per poi diffondersi anche in Europa. All’inizio erano chiamati “comunanze”, nel senso di comunità di popolazione affrancata ed unita, indipendente e libera dal potere feudale, piccole città stato con i rispettivi organi legislativi ed esecutivi. Tutti conoscono la storia dell’Italia Comunale, che si protrae da circa 900 anni tra vicende varie ma sempre con l’identità precisa ed irrinunciabile di ognuno di essi.

Per la difesa del Comune, piccolo o grande che sia, per l’autonomia e l’indipendenza le popolazioni, fin dai primi anni di fondazione hanno fatto guerre continue con i vicini ed i territori circostanti sono stati per anni oggetto di rivendicazioni; i confini si difendevano con l’intervento armato. Nel 1514 ci fu una guerra tra Sarnano e Fermo solo per i diritti dell’acqua del Tennacola da utilizzare nel mulino di Gualdo

Per i Comuni di dimensioni non riconducibili a grandi città, tale orgogliosa rivendicazione di appartenenza potrebbe essere definita “campanilismo”. Di solito questo termine viene usato con significato molto dispregiativo invece è un termine che caratterizza le particolarità e l’orgoglio di una identità storica e geografica. Definendolo in maniera dispregiativa si annulla qualsiasi riferimento alla cultura di popolazioni vissute in questi comuni per decine di secoli e si manca di rispetto alla loro storia. Un sano campanilismo è competizione e crescita, checché ne dicano i benpensanti acculturati.

Per centinaia di anni i popoli vissuti nei rispettivi territori comunali hanno costruito modellato e mantenuto un paesaggio naturale ed architettonico di rilevante bellezza salvando storia e tradizioni. Per anni ed anni le popolazioni di questi tanti comuni sono vissute bene e male formando le infinite immagini, caratteri e peculiarità del territorio Italiano, generando la cosiddetta cultura del nostro paese.

Cultura vuol dire: “l’insieme dei valori, simboli, concezioni, credenze, modelli di comportamento, e anche delle attività materiali, che caratterizzano il modo di vita”

insieme di conoscenze e di pratiche acquisite che vengono trasmesse di generazione in generazione

Insieme delle conoscenze letterarie, scientifiche, artistiche e delle istituzioni sociali e politiche proprie di un popolo”

il complesso di conoscenze (tradizioni e saperi) che ogni popolo considera fondamentali e degni di essere trasmessi alle generazioni successive”

Invece in osservanza di una legge statale finalizzata al solo risparmio, generica e superficiale si cancella tranquillamente questa cultura ed anni di storia.

Non è come tagliare una pianta che prima o poi rigermoglierà, ma è come sradicarla; eliminare in profondità la parte più percettibile di un Comune: il nome stesso del Comune, quindi il suo sigillo, il suo stendardo, e quindi la sua natura il suo dispregiato campanilismo, per unirsi ed uniformarsi in altre massificazioni ed omologazioni tipiche dei nostri tempi.

Chi annulla la propria identità non sarà in grado di riconoscere quella dell’altro.

La fusione di un comune grande con uno piccolo annienterà ogni traccia di quest’ultimo, il quale diventerà una generica frazione, mentre il più grande conserverà il nome e la storia. Ci sono stati alcuni esempi dove piccoli comuni fusi insieme hanno scelto per essere rappresentati un nome nuovo, sconosciuto, cancellando gli antichi nomi e castrandosi volontariamente.

Ora si deve risparmiare, giusto ed auspicabile, ma questo lo si può fare semplicemente unificando i servizi, come già in parte avviene nel nostro territorio con l’Unione dei Comuni dei Monti Azzurri, come precisato anche dal sindaco di San Ginesio nell’Appennino Camerte del 4 marzo 2016. Con le nuove tecnologie si possono unificare gli Uffici Tecnici, l’Anagrafe, gli Uffici Tributi e Amministrativi, la Nettezza Urbana, Scuole ed Asili, ecc.ecc. in modo che tutti questi servizi soddisfino un bacino di utenza con un numero di popolazione consistente, veramente consistente ( 50.000 ab.) a costi inferiori ma efficienti. Queste sono funzioni logistiche del vivere, asettiche, tecniche che debbono funzionare a prescindere, sono uguali per tante persone, per questo possono e debbono essere centralizzate.

Gli indirizzi di sviluppo del territorio sono questioni politiche, per le quali necessita invece un bacino d’influenza, come detto sopra, consistente.

Per questo è giusto anche eliminare le funzioni elettive dei piccoli e medi comuni che comunque in maniera figurativa, sono poco più di grossi condominii, e quindi come tali per rappresentarli basterebbe un presidente del condominio con due aiutanti eletti da assemblee popolari, le quali poi potranno anche proporre interventi sul territorio e far conoscere, tramite i presidenti, le necessità delle comunità da riportare all’ente politico eletto e centralizzato. Le funzioni elettive e politiche possono e debbono fare capo quindi ad un rilevante numero di persone, le quali comunque resterebbero identificate nei loro storici Comuni.

E’ ridicolo fondere piccoli comuni per crearne un altro comunque piccolo, in nome del mero risparmio.

Non vorrei che si cambiasse l’indirizzo sulla mia patente né sulla posta in arrivo, non voglio cambiare il nome della mia storica “comunanza”. La soluzione è l’Unione di Comuni anche per parti geografiche rilevanti oltre che omogenee, ( che potrebbero essere anche complementari) ma i Comuni di Bolognola, Fiastra, Acquacanina, Camerino, Monte San Martino, Smerillo, Amandola, Sarnano, San Ginesio, Gualdo, Penna San Giovanni ecc. ecc. ecc. ecc. debbono restare nella loro storia e tradizione.

Le funzioni logistiche sopradette potranno essere centralizzate in un qualsiasi altro luogo, e identificate con un nome anche numerico, non importa.

Se i Sindaci vogliono mantenere la loro storia e la loro cultura, facciano modificare la legge dello stato, verso soluzioni più adatte e meno generiche e distruttive, si impongano con un po’ di orgoglio e decisione, lo Stato come si dice siamo sempre noi.

Questo è il pensiero di un cittadino qualunque che vale quello che vale, ma che vota, come tutti i cittadini.

19 marzo 2016

Giuseppe Gentili


La rivista Medioevo

Nel mese di ottobre 2015 ho scritto al direttore della rivista Medioevo la seguente lettera:

Egregio Direttore Steiner,
sono Giuseppe Gentili architetto di Sarnano Mc, leggo la rivista Medioevo molto spesso e da anni, forse dalla sua prima uscita. Ho notato che tra i collaboratori non figurano mai architetti, ma solo giornalisti, archeologi, professori, ricercatori ecc. Ora la figura dell’architetto nell’ambito di una analisi di un castello o di architettura medievale specialmente militare, è fondamentale. Ne ho un esempio pratico: sono proprietario di Roccacolonnalta nel Comune di San Ginesio, della quale allego una foto, per quattro anni abbiamo effettuato scavi con l’Università (…) (storia dell’arte medievale) e suoi studenti, durante i lavori ho constatato la carenza di conoscenze dei sistemi e modalità costruttive oltre che statiche. Per cui una parte di manufatto poteva essere definito in un modo, quando la tecnica costruttiva o la statica ne suggeriva un altro. Per le stesse carenze sono state ipotizzate date non rispondenti ai sistemi costruttivi delle varie epoche. Insieme ad un mio collega abbiamo rianalizzato la Roccacolonnalta con una visione più da architetti concludendo che al contrario di una datazione del sec XIII certe tecniche costruttive riportavano a periodi dell’VIII secolo e precedenti. Anche la storia quindi che ne deriva è diversa. Gli storici universitari raramente propongono visioni dei fatti diverse da quelle che hanno studiato e riproposto per anni, difficile che si pongano il dubbio sulla sequenza degli avvenimenti conosciuti e quindi una nuova visione. Le allego un esempio (solo per conoscenza di un altro modo di vedere i fatti storici) di un libretto scritto da me e dal mio collega Arduino Medardo.

Mi piacerebbe conoscere un suo giudizio su quello che Le ho evidenziato, il mio scritto non ha nessun altro motivo.

Comunque la sua rivista è molto interessante e continuerò a leggerla anche con le carenze descritte.

Inviando cordiali saluti La ringrazio per l’attenzione

Sarnano 22 ottobre 2015

Giuseppe Gentili, architetto

Come tutti giornali o enti pubblici ai quali ci si rivolge per lettera per comunicare un proprio pensiero anche se critico o interrogativo, nessuno risponde.

Mi chiedo se una rivista che tratta per un’alta percentuale degli scritti di architettura quale castelli e rocche, monasteri, chiese, abbazie, palazzi storici ecc, non debba avere tra i suoi collaboratori la figura di un architetto, unico titolato, (vedere le Soprintendenze) a trattare in maniera storico-architettonica ed anche statica, un manufatto della storia dell’uomo. Invece la rivista Medioevo si avvale di soli giornalisti, archeologi, professori di storia, lettere, ricercatori vari e similari. Forse il direttore pensa che voglia essere io interpellato a tale proposito, e qui si sbaglia di grosso. Forse è solo un comportamento sufficiente e poco incline al dialogo. Però potrei dubitare della consistenza e competenza degli articoli scritti relativi a temi architettonici.


La Chiesa di Piazza della Libertà a Sarnano

SARNANO 2016, sono passati più di 6 anni da quando i sarnanesi hanno rifiutato un intervento del genere, ed avendo ritrovato la relazione che accompagnava il progetto nel mio sito Internet, oggi la ripropongo para para, dopo che il parroco insistette per la eliminazione dal sito per quieto vivere. Non solo, a tutt’oggi, il Comune di Sarnano sulla richiesta del parroco per la concessione dell’area della scarpata di piazza della Libertà verso il campo sportivo per la realizzazione di questo progetto, non si è ancora espresso. Avevamo proposto che il progetto fosse realizzato sia in fase progettuale che esecutiva da ditte e personale esclusivamente di Sarnano per ovviare alla imminente crisi: tutto inutile.

SARNANO 18 MAGGIO 2010

La piazza della non Libertà, neanche quella di proporre.

A Sarnano qualsiasi progetto che possa provocare una novità viene sistematicamente, facinorosamente e aprioristicamente sempre bocciato da una minoranza tendenzialmente inattiva; l’attività provoca in queste persone un certo senso di frustrazione che si manifesta con la negazione di ogni intervento, pur non conoscendone gli elementi del contendere. L’errore è quello di chiedere il parere alla comunità, con una concezione democratica della vita civile che ottiene sempre una risposta non democratica, visto che si tratta sempre di minoranze rilevanti: non è detto che il sistema democratico sia il migliore come ormai si tende a riconoscere.

Si parla con accanimento di una Chiesa della quale non esiste neanche il progetto sommario esiste solo un ideogramma, quindi il no è alla Chiesa in sé, non al progetto.

Don Luigi Verolini in gennaio 2010 mi prospettò l’idea di costruire una nuova chiesa nell’ambito della Piazza della Libertà di Sarnano, questa idea la materializzai con uno schema che faceva riferimento alla storia architettonica delle chiese e delle piazze nell’arco dei secoli dalla Grecia a Roma agli ultimi secoli della storia urbanistica Italiana, non c’era il progetto c’era un concetto incontestabile, è la storia, e ho inserito questo ideogramma sul mio sito internet

Tutti sono andati a vedere il mio sito, ma solo la questione della chiesa e piazza della Libertà, perché ?? perché siamo “a Sarnà, quello che potresti fare oggi, meglio fallo domà” e quindi non si fa nulla.

Alcuni oltranzisti, rari per fortuna, pare che siano anche del Consiglio Pastorale; perché è noto ai giorni nostri che i problemi più pericolosi della Chiesa, vengano principalmente dalla Chiesa

Quindi Don Luigi viste le continue invettive, mi ha chiesto di togliere l’ideogramma dal sito internet, cosa che ho fatto ma ho lasciato un messaggino per la “minoranza attiva”.

IDEOGRAMMA - DI UNA IDEA

Piazza della Libertà - Sarnano - MC.

La proposta di realizzare una struttura parrocchiale con chiesa e vari edifici complementari, come oratori sale riunioni, ecc, nell’area della piazza della Libertà di Sarnano, forse è la proposta più brillante, innovativa e piena di potenzialità di ogni genere, fatta negli ultimi cinquecento anni, finalizzata alla costruzione di una nuova architettura nel tessuto urbano, per di più storico, di Sarnano; potrebbe avere significati architettonici indotti per il paese e per la popolazione pari a quelli che poterono rappresentare 600-700 anni fa la costruzione della Piazza Alta, con relativa chiesa e torre di Santa Maria.

La volontà di realizzare una unica parrocchia, di cui la chiesa nella piazza ne potesse essere la materializzazione, riunendo tutte le parrocchie del territorio, ha forse lo stesso valore della unione delle contrade nella costruzione di Sarnano nel medioevo, investendo tutta la popolazione sia allora che ora, di una scelta rilevante ed incisiva.

Fin dalla Grecia classica, passando per Roma ed anche durante la storia recente, fino al secolo XIX, nella nostra civiltà occidentale, ogni spazio-piazza, agorà, è stato il luogo della democrazia per antonomasia, luogo religioso, politico ed economico, definito dal Tempio prima e poi dalla Chiesa, oltre che da edifici civili di rappresentazione del potere e delle attività temporali.

Quindi, questo intervento potrebbe e dovrebbe trasformare la piazza della Libertà e gli spazi circostanti, ridefinendone la fruizione, riconducendola al significato classico di luogo di incontro, di conversazione, di intrattenimento, e di manifestazioni popolari politiche e ludiche.

L’edificio chiesa dovrebbe essere costruito sull’area della scarpata senza emergere dal livello della piazza, per non schermare la vista dei monti Sibillini, e dovrebbe svilupparsi a gradoni nel dislivello presente tra la piazza ed il sottostante vecchio stadio. Come segno della presenza della chiesa, e ingresso agli edifici sottostanti, nella piazza potrebbe esserci un paradigma storico della chiesa, un segno che la rappresenta e che attraverso le sue aperture, ecc, possa permettere la vista della montagna, la quale emergerà dopo aver eliminato tutte le piante che adesso la schermano. La piazza potrà diventare anche una grande chiesa all’aperto con una potenzialità di oltre duemila persone.

La piazza si potrebbe quindi caratterizzare a sud, verso la montagna, dal paradigma della chiesa e negli altri lati da una sequenza di pseudoportici che la potrebbero delimitare e distinguere dalle due strade: la provinciale per Sassotetto e la Picena Macerata-Ascoli.

L’area piazza potrebbe essere in parte realizzata a leggeri gradoni per ovviare al dislivello presente. Il monumento ai caduti potrà essere integrato e collaterale al paradigma, al fianco del quale sarà realizzato anche un ascensore, che partendo dal livello del vicino parcheggio Bozzoni, permetterà l’accesso ai diversi piani e locali della chiesa e alla piazza della Libertà, permettendo così l’uso integrale del parcheggio.

Urbanisticamente la piazza non dovrebbe avere rispondenze simmetriche o assialità, poiché la sua forma non è subordinata ad alcun edificio principale, risponderà esclusivamente alla conformazione orografica ed alle geometrie delle preesistenze.

La piazza sarà ovviamente priva di auto, né sosta né transito.

Sarnano 23 marzo 2010

 

Questa chiesa poteva o potrebbe essere non lo so, l’input ad una revisione generale della piazza e della viabilità, del parcheggio sottostante e di una rinnovata immagine architettonica di Sarnano che è ferma a qualche secolo fa, i locali della chiesa sarebbero stati realizzati seminterrati sulla scarpata che divide la piazza dal vecchio campo sportivo permettendo un ampliamento della piazza stessa e una vista sulla montagna, una maggiore fruibilità turistica dell’insieme della quale i commercianti ne avrebbero tratto un ottimo guadagno visto che da tempo a Sarnano c’è un certo languore.

Forse è stato perché ho scritto che non dovevano esserci più parcheggi, ma questo è ovvio, primo perché a due minuti di cammino, due minuti anche per gli anziani, c’è il capiente parcheggio Bozzoni sempre vuoto, secondo perché oggi, se si deve andare a pagare in banca o prendere una medicina in farmacia, nella piazza non c’è posto alcuno per lasciare la macchina, dato che i parcheggi sono occupati dalla mattina alla sera, come se fossero parcheggi privati. Se uno, chiamiamolo turista, volesse fermarsi e parcheggiare non c’è posto, meditate gente, meditate.

Non capisco quale sia il problema per cui fare qui questo intervento possa creare chissà quale scompenso economico di immagine o cosa, poiché i facinorosi non hanno proposto né hanno confutato con argomenti il no aprioristico a meno che non l’abbiano detto ed io solo non lo conosco.

I finanziamenti della CEI sono solo per chiese nuove e niente altro, l’ignoranza della gente è tale che qualcuno ha proposto perfino di completarci la casa di Riposo Comunale con quei soldi, visto che di chiese ce ne sono tante.

Come al solito il no di pochi ricadrà sulla testa dei molti e del paese, il quale funzionava bene, e tutti lo rimpiangono meno i fannulloni, quando le cose si decidevano e si facevano senza chiedere pareri democratici di sorta, come si è sempre fatto nella storia dell’uomo ad oggi, quelli che dicono sempre no, dovrebbero prima studiare poi parlare; tutto quello che oggi definiamo patrimonio storico- artistico e che i suddetti facinorosi ci si spellerebbero le mani nel difenderlo, questa volta giustamente, è stato fatto dalla volontà di singoli o di pochi, senza chiedere pareri a nessuno, studiate gente, studiate. Immaginate se per costruire la torre di Santa Maria alta circa 30 metri come pure quella di san Francesco nell’anno 1350 circa la chiesa avesse chiesto il parere a tutti i cittadini, comunque le due torri ci sono.

A proposito della preparazione culturale di alcuni o di tanti non lo so, cittadini di Sarnano, che parlano e basta, la settimana scorsa c’è stato un convegno, nella chiesa di San Costanzo a Poggio, durato due giorni pieni, organizzato dalla Università “La Sapienza” di Roma , con 32 relatori dell’Università di Roma, Urbino, Macerata, l’università di Pavia, Soprintendenze dei beni culturali, del Museo di Farfa, l’Université Montpellier III, ed anche il sottoscritto,"per piacere" come dicono a Roma, ecc, ecc, sull’architettura altomedievale delle Marche e oltre, sapete quanti Sarnanesi c’erano oltre me ? Due. Di che cosa vogliamo parlare!!!

18 maggio 2010

Arc. Giuseppe Gentili

Allego la breve relazione ideogrammatica che era su internet.


Il compagno e la compagna.
Il nuovo linguaggio elementare

Mia zia Maria, nella sua campagna, aveva gli animali da cortile. Mi incuriosiva il fatto che quando per motivi dovuti ai selvatici predatori veniva a mancare uno dei due nella coppia di conigli o dei piccioni lei usasse la frase: "debbo ritrovare un compagno o una compagna" per il superstite della coppia rimasto singolo. Quindi cercava tra gli agricoltori della valle di Terro qualcuno che avesse un coniglio o un piccione da dargli per ricostituire le sue coppie. In sintesi le unità appartenenti e costituenti una coppia di conigli o di piccioni venivano chiamate il “compagno” e la “compagna”. Questo era un elementare e naturale vocabolario di mia zia, forse solo dialettale, destinato alla identificazione dei sessi tra questi animali.

Alla luce di questo linguaggio mi desta stupore quando sento presentarmi da un uomo o da una donna, un uomo o una donna con il vocabolo "Compagno" o "Compagna". Per gli animali da cortile non è necessario un linguaggio che individui un preciso percorso affettivo nel rapporto tra i due sessi, ma per gli uomini si. Infatti mia zia prendeva la "compagna" o il "compagno" e li introduceva di sua volontà e non quella degli animali nel nido o conigliera dell’altro.

Negli esseri cosiddetti umani la lingua italiana, come ogni altra lingua, possiede vocaboli adatti per determinati rapporti, i quali avvengono e si concretizzano per dichiarata volontà e coscienza degli individui uomini o donne. Il termine compagno ha molti riferimenti, può essere di scuola, d’armi, di squadra, di lavoro, di giuochi, perfino di merende nella ultima coniazione di significato, di partito e qui sta la confusione, ecc, ecc. La sinistra ha omologato il linguaggio, in basso, per evitare differenze, quindi un termine può essere usato sia per gli animali che per gli esseri umani.

La lingua italiana invece identifica precisamente il percorso affettivo e le funzioni delle varie figure costituenti i rapporti umani. “Marito” vuol dire marito, ogni vocabolario identifica precisamente il rapporto e la funzione che l’uomo ha con la donna, così pure per “moglie”. "Fidanzato" o "fidanzata" sono vocaboli identificativi di un percorso ben preciso nell’ambito dell’affetto e dell’amore tra i due sessi. “Amante” o più blandamente “amica” identifica un’altro ben preciso rapporto tra i due sessi, ben conosciuto. Nel linguaggio attuale tutte queste specifiche manifestazioni tra esseri umani viene unificato e indistinto e omologato in "Compagno" o "Compagna". Questo piace perché non si identificano responsabilità di sorta e nello stesso tempo ci si può muovere con molta più libertà.

Molte volte ho provato a farmi spiegare se il compagno o la compagna fosse di scuola militare o di partito, ma nessuno risponde serenamente. Beati i piccioni o i conigli che non hanno di questi problemi, non che io li abbia, è solo puntualizzazione per capirsi meglio sia tra animali che tra esseri umani: a me non piacerebbe essere scambiato per un piccione o una picciona.

Sarnano 8 agosto 2015
Giuseppe Gentili


Natale 2019

Alla mia età voglio rileggere i Vangeli con il bagaglio dell’età: gli eventi descritti appariranno sicuramente diversi, forse depurati di molte superfetazioni interpretative, ma forse più persuasivi ed incidenti nello spirito. Il Vangelo è semplice, non va interpretato va vissuto, e non credo che io lo faccia.

Ogni anno a Natale ci viene riproposta la nascita di Gesù come un evento volutamente povero e marginalizzato nel riferimento alla grotta o stalla di Betlemme. Come se la nascita di Gesù sia stata volutamente allontanata dalla vita quotidiana di quell’epoca e ridotta volutamente dalla popolazione ricca ad avvenire in mezzo agli animali in una stalla nella miseria più nera, perché “per loro non c’era posto nell’albergo”. E giù lacrime pietà e comprensione verso la nascita un bambino in queste condizioni e per di più non un umano bambino, ma il Figlio di Dio.

Ho riletto con più attenzione i Vangeli, senza nulla togliere alla poetica e al sogno della “notte Santa” non solo cara ma carissima anche a me. La lettura è stata finalizzata alla ricognizione delle parole del racconto evangelico e capire se tutta questa povertà era voluta, oppure molto male interpretata e non senza scopo.

Dei quattro evangelisti, solo Luca, parla della nascita di Gesù a Betlemme descrivendone l’intorno storico, l’evangelista Matteo narra la nascita di Gesù da Maria per opera dello Spirito Santo, evidenziandone il problema per Giuseppe e la sua volontaria accettazione. Sia l’evangelista Marco che Giovanni non parlano e non raccontano nulla sulla nascita di Gesù. Quindi la narrazione un po’ più dettagliata la fornisce solo il Vangelo di Luca. Riporto alcuni passi, il testo completo tutti potranno leggerselo quando vogliono. Maria e Giuseppe si debbono recare a Betlemme per il censimento di Augusto. Betlemme è come descritto una piccola città, e quindi non adeguata al flusso di persone in arrivo dovuto al censimento. Non credo ci fossero decine di alberghi da turismo in quel periodo storico, quindi per Maria e Giuseppe, proprio per le condizioni vicinissime al parto di Maria, non poteva andar bene la tenda o l’accampamento all’aperto. Credo che tutti gli altri, venuti a Betlemme per il censimento, si adattavano per una notte o due, a sistemi di sosta normali per quell’epoca in accampamenti di vario genere. Giuseppe doveva trovare qualche cosa più adatto, al chiuso e altro non trovò se non le stalle degli animali in grotte o capanne. L’Evangelista neanche la descrive, ma fa solo intendere che era una stalla perché, dice, Gesù avvolto in fasce, fu deposto in una mangiatoia. Quindi a noi tutti fa piacere che vicino a questa mangiatoia ci siano stati il bue e l’asino per riscaldare l’ambiente. ( come in effetti facevano tutti i contadini nostrani che avevano la casa sopra alle stalle per averla più calda). Poi arrivarono i pastori avvisati dagli Angeli, perché questi erano nei dintorni a guardia dei greggi ma latri pastori ed altra gente era a Betlemme forse un po più lontana dalla stalla o grotta che sia, e questi andarono. Anche qui si manipola la cosa a favore della povertà, della misera e solitudine, perché non solo i poveri pastori che stavano nei dintorni arrivarono a rendere omaggio a Gesù ma poi, e non certo nella stalla, anche i Magi , intellettuali, acculturati e ricchissimi signori dell’epoca , quindi una riverenza degna del Figlio di Dio. Ma politicamente in senso lato, fa più comodo parlare di povertà, di pastori poveri e ignoranti, o dei cosiddetti ultimi e via discorrendo.

Nella narrazione del Vangelo non si accenna minimamente alla povertà voluta da chissacchì ma solo al fatto che nell’albergo non c’era posto per i motivi suddetti, Matteo avrebbe potuto commentare il fatto che l’albergo è per soli ricchi e che Maria e Giuseppe furono scacciati perché poveri; tutto questo non c’è scritto, è stato il romanticismo umano a creare interessatamente l’intorno: la povertà il freddo l’asino e la mucca la mancata e voluta ospitalità in albergo, la neve e tutto il resto. Il racconto evangelico è un semplice racconto privo di sottintesi, come in verità tutta la descrizione evangelica, che la perfidia dei nostri tempi usa per diversi scopi. Tutto questo non toglie nulla alla grandezza dell’evento: Dio fatto umano non c’è bisogno di accattivarselo con la povertà.

Premetto, a me sta bene e piace così, e il presepio lo faccio con queste caratteristiche, e guai a chi me lo impedisse. Il Natale è il sogno per tutti, credenti e no, anche se da un mese ascolto i messaggi televisivi e non ho mai sentito parlare di Gesù ma di Babbo Natale, dei regali, delle feste e degli auguri di Buon Natale, che sinceramente non capisco cosa vogliano dire queste cose, specialmente per chi non cita mai la nascita di Gesù.

20 dicembre 2019

Giuseppe Gentili


Riflessione sulla trascendenza

Caro Luigi,
credo che il problema più grosso tra l’uomo Dio sia quello che l’uomo vuole capire, spiegare Dio con le capacità dell’uomo. Sempre a cominciare dai Papi, tutti pretendono di sapere cosa Dio vuole. Allora si usa anche il racconto del Vangelo che viene piegato a seconda dell’interprete. Quando sento un Papa o un sacerdote che dice: “Dio vuole……”, mi sorge il dubbio che non abbia capito con chi ha a che fare. Se Dio fosse stato costruito dall’uomo, come la folla di divinità, Dei costruiti dalle civiltà umane, allora sarebbe plausibile accettare che l’uomo interpretasse le volontà degli Dei, ma se abbiamo scoperto, per nostra grazia o disgrazia, che esiste in assoluto un solo Dio, come Gesù ha detto che esiste, allora l’uomo non può spiegare un bel niente. Perché Dio è Dio, e l’uomo è l’uomo. Molte volte sento anche dire “ Dio ha bisogno degli uomini” certo, se Dio fosse quello immaginato dagli uomini, ma no, se Dio è Dio. Forse noi uomini non abbiamo capito chi è Dio neanche attraverso il Vangelo, scritto da uomini che hanno interpretato quello che l’intelletto umano è in grado di capire e giustificare e rendere umano per essere capito. Dio , se c’è, non è quello elementare, padre, che descriviamo, perché questo è l’unico modo per riuscire a capirne l’essenza e giustificarne l’esistenza, ma Dio credo sia altra cosa, e dei problemi dell’uomo non si interessa. La frase di Gesù riportata nel Vangelo credo sia più o meno ” io non sono di questo mondo” e da qui credo si debba partire. Inutile pregare per questo o quel fatto terreno, serve a tacitare e tranquillizzare l’animo dell’uomo ma nell’assoluto pensiero di Dio credo che se l’uomo muore o vive non fa differenza. Gesù si è materializzato per far capire che esiste la seconda vita, anzi no, la prima vita, che è quella trascendente e non quella umana. Immagina che questa vita è come quella che un bambino vive nel grembo della madre, per lui la morte è la nascita. Forse la nostra vera nascita è la morte.

Caro Luigi forse puoi interpretare questi commenti come confusione, vero, la confusione è come il dubbio, poi in seguito si dovrebbero sviluppare concetti di crescita e ordine. Io diffido da chi crede di sapere, di spiegare, di predicare, perché è il vero modo per non capire la trascendenza. E Dio altroché se trascende.

Luigi potrei scrivere per ore, ma concludo dicendomi: fede in Dio senza condizioni, anche a giorni alterni, nel bene e nel male, senza chiedere nulla, se non la continua ricerca del Dio che non è di questo mondo, altrimenti ci sarebbero schiere di angeli per farcelo capire, quindi non pregare per salvarsi dal male, altrimenti ammetteresti che c’è un altro Dio che lo ha prodotto. Prega Dio che ti faccia vedere, riconoscere, percepire ogni giorno di più qualche particella dell’essenza di Dio.

Marzo 2020

Giuseppe Gentili


Lu Travagliu

Questo oggetto fotografato poco tempo prima che fosse demolito, oggetto per alcuni misterioso, si chiama in dialetto “lu Travagliu”, di uso pubblico per la frazione, e serviva, nella civiltà rurale, a rendere possibile l’operazione di applicare delle piastre metalliche sugli zoccoli delle mucche destinate al lavoro nei campi. Queste piastre erano necessarie, per evitare il consumo dell’unghia della mucca che l’avrebbe resa inidonea al lavoro. La mucca veniva fatta entrare all’interno della struttura, immobilizzata, quindi si faceva attraversare un palo di legno attraverso i fori in basso del travaglio, dove si fissava poi la zampa della mucca per applicare la piastra. Questo manufatto si trovava nella frazione Campanotico all’incrocio di una strada privata che porta ad una casa rurale acquistata a suo tempo da una famiglia del nord Europa.
La demolizione è avvenuta non per loro colpa, è stata finalizzata a facilitare l’accesso alla stradina dalla strada comunale e quindi alla casa, ma loro non conoscevano il significato e funzione di tale oggetto. (A Terro stava adiacente alla strada in curva tra la casa Ceschi e Li Papa). La distruzione de “lu travagliu” di Campanotico è avvenuta per “la gnoranza” in senso latino e “con due gn”, direbbe un mio amico, di queste persone che non si sono rese conto, per loro poca conoscenza, di cosa fosse questo oggetto, rappresentante invece un elemento caratteristico della cultura contadina, cultura contadina che li ha indotti ad acquistare la casa. La strada non troppo ampia e ”lu Travagliu” sono stati sul posto, vicino a questa casa, per decenni e decenni, l’accesso alla casa veniva usato anche dalla “trebbia” che piccola non era, quindi demolizioni inutili se non finalizzate inconsciamente alla riduzione del valore dell’immobile. Ma la colpa non è solo degli acquirenti, anzi alla fine non sono colpevoli, ma anche, e di più, quella di tecnici italiani, che non hanno spiegato e fatto conoscere il significato di certi annessi rurali, ai potenziali acquirenti, loro sono i veri colpevoli.
Certe demolizioni che avvengono, per sottovalutazione e disconoscenza del valore storico e per “gnoranza”, e non solo in campagna, (le volte in mattoni demolite nel centro storico sostituite da solai in c.a., o finestre cinquecentesche con tanto di modanatura, sfasciate per allargare la porta del garage, ecc.) hanno contemplato anche fino a qualche anno fa la demolizione nelle case rurali delle strutture fisse per produrre il vino cotto, come “li canà”, per pigiare l’uva, “la callara”, per cuocere il vino con sottostante ”fornella”, al solo scopo magari di fare un soggiorno più largo o una tavernetta al piano terra, ecc. Le demolizioni di questi manufatti per il vino cotto, e tutte le infinite altre demolizioni nell’indifferenza di molti, hanno contribuito alla cancellazione di tanta parte della cultura storica contadina ed architettonica dei nostri territori, senza purtroppo possibilità di recupero.

Si deve riconoscere però che gli acquisti da parte di famiglie e singoli stranieri, di molte case rurali nei territori di campagna, in zone che gli italiani non avrebbero mai attualmente abitato, hanno contribuito in maniera determinante alla salvaguardia di questo tessuto abitativo rurale sparso, però sarebbe bastata un po’ più di sensibilità da parte dei tecnici e delle agenzie immobiliari.

(Pubblicherò documentazione sulle strutture fisse per il vino cotto).

In dispiaciuta conclusione ognuno di noi, se ci pensa un po’ ricorderà le molte cose demolite inutilmente che invece oggi avrebbero rappresentato la caratteristica di quell’edifico e la testimonianza per il futuro della cultura del nostro territorio regionale e sicuramente nazionale.

17 maggio 2020

Giuseppe Gentili


40 anni di vietato vietare

Le indicazioni date dal Governo, alla fine della settimana scorsa, per evitare il contagio da corona-virus, hanno prodotto effetti popolari che tutti i media, oggi e ieri, hanno condannato. Le indicazioni invitavano a non spostarsi, a restare in casa e non frequentare luoghi affollati, era stata delimitata un’area rossa. Invece il decreto ha generato effetti del genere: le scuole sono chiuse andiamo a sciare sulle Alpi, andiamo in riviera in Liguria o altrove, andiamo nei paesi di origine al sud forse più sicuri. Non parliamo poi dei giovani italiani che alla indicazione di restare in casa e non frequentare luoghi affollati e non uscire se non necessario, visto che le scuole erano chiuse, hanno risposto riempiendo i locali della movida milanese, dei bar, dei vari locali d’intrattenimento, e naturalmente non solo a Milano. Oggi tutti i giornalisti e l’elite culturale hanno condannato questi atteggiamenti della popolazione e dei giovani fino a giungere a dire che c’è bisogno di un capo credibile. Perfino politici e giornalisti di alta statura professionale oggi reclamano la mancanza dell’uomo a cui far riferimento, che abbia le capacità di dirigere e far rispettare con fermezza le indicazioni del Governo o della Protezione Civile.

Però, nessuno si è chiesto perché questo atteggiamento sociale, questo comportamento del popolo italiano, che non risponde alle indicazioni del Governo, specialmente in un caso così grave e tanto più le giovani generazioni.

La causa è ben nota, anche se nessuno ne ha parlato, non la si vuole ammettere si fa finta che non ci sia una causa, invece c’è: 40 anni di cultura volta allo sbeffeggiamento del concetto di autorità dello stato, delle istituzioni, degli insegnanti, delle forze dell’ordine e similari, che ho vissuto direttamente dall’Università in poi. Sono 40 anni che una parte politica osteggia, definendoli fascisti, tutti gli atteggiamenti volti al rispetto delle istituzioni e del concetto di educazione civica nel rispetto di disposizioni date dallo Stato. Riconoscersi Italiani era fascista, tanto che in ogni discussione in programmi televisivi quando si doveva parlare dell’Italia la si definiva “questo paese” pur di non dire Italia.

Cosa si pretende dopo 40 anni di vietato vietare, di diritti senza doveri, di voglio tutto senza sacrifici, di mancanza di responsabilità per nessuna azione, e tanto altro, si è stratificata e formata una cultura ridicola e fuori dalla possibilità di costruire una popolazione responsabile e cosciente del proprio essere e quindi di formare uno Stato adeguato. Nelle scuole c’è l’anarchia, gli studenti danno addosso ai professori, coadiuvati poi dai genitori, tutto è concesso tutto è ammesso. I beni pubblici come treni, stazioni, edifici, fino alle panchine delle aree verdi vengono imbrattati e distrutti senza problema ecc, ecc, ecc.

Cosa pretendeva questo Governo, composto anche da chi per anni ha inneggiato alla libertà senza limiti, al lassismo totale, di essere ascoltato? Oggi lunedì 9 marzo 2020 perfino politici e giornalisti di “alta statura professionale” evidenziano la mancanza dell’uomo a cui far riferimento, l’uomo che abbia le capacità di dirigere e far rispettare con fermezza le indicazioni del Governo o della Protezione Civile.

Purtroppo la constatazione della situazione non risolve il problema il quale è senza soluzione, senza speranza. Se voi di Facebook, oltre a dire sinteticamente ”mi piace”, o ad aggiungere una foto nel vostro profilo, conoscete la soluzione per i problemi suddetti, proponetela. Potreste anche non ritenerli problemi.

Aprile 2020

Giuseppe Gentili


Geometria della vita

E' consolidata l'immagine geometrica dello svolgersi della vita come una parabola. Nascita, crescita fino al vertice, poi il lento declino fino alla fine. Questo è un grossolano errore di valutazione dell'evolversi del vivere, osannando alcuni periodi, quelli verso il vertice e nei dintorni del vertice, sottovalutando la parte in discesa ed anzi lamentandosi dei tempi che ne conseguono tacciandoli come ormai relativi alla fine deboli ed inutili. Non è così. La vita è paragonabile solo ad una retta orizzontale, e come tutte le rette composta da una serie di punti. Questi punti rappresentano la caratteristica della vita in quel punto e solo in quello, con le sue particolarità irripetibili ed uniche. Ogni punto è fondamentale, con la sua specificità, per la composizione della retta, cioè della vita; se mancasse un solo punto  non esisterebbe né la retta né la vita. Ogni punto è ineguagliabile e non paragonabile con nessun altro per posizione e tempo, ma proprio per questo è indispensabile e straordinario nel suo valore. Quindi ogni punto dell'età ha le sue caratteristiche diverse dalle altre e per questo motivo fondamentali, culturalmente, storicamente, affettivamente, fisicamente ecc., basta fare l'analisi di ogni punto, preso a se senza confronti, poiché al punto per essere punto non servono paragoni di sorta, esiste ed ha il suo valore assoluto per definizione. Questo è il modo di vedere la vita ed amare i punti perché comunque caratteristicamente unici, irripetibili e non paragonabili ad altri; questa è la vita, non la parabola piagnona, bisogna cercare di creare più punti possibile e crearli il più interessanti possibile per sé e per gli altri. Oltretutto il punto allunga la vita, perché la retta al contrario della parabola, non ha fine.

Sarnano 2008

Giuseppe Gentili


Dio illumini le menti

Oggi, domenica 7 novembre 2021, ho visto un documentario su National Geographic sul terremoto in Nepal del 25 aprile 2015. Il terremoto è stato raccontato con video ripresi nel momento del sisma da un gruppo di alpinisti che stava nel campo base dell’ Everest. Il terremoto ha fatto migliaia di morti nell’intera nazione. Quello che è impressionante è l’aspetto del campo base dopo il sisma, con 11 morti e molti feriti anche gravi dopo valanghe e scombussolamenti giganteschi verificatesi con il sisma di scala 7,8 Richter. Dalle immagini e dalle illustrazioni dei tecnici è stato un vero cataclisma durato un tempo infinito Alla vista di una cosa del genere, anche se ho assistito nel nostro territorio a vari terremoti di molta minore intensità, si capisce quanto è nulla l’umanità intera al confronto della natura. I seguaci di Greta Thunberg, ed i vari ambientalisti con i loro concetti poveri ed inutili, dovrebbero vedere queste cose, rivederle e studiarle per rendersi conto che la natura è al disopra di tutto. Non auguro a questi signori di trovarsi in momenti del genere ma esserci forse servirebbe a capire che chi decide le sorti del mondo è solo la natura, a prescindere, altro che il pover’uomo, la Thunberg, gli ambientalisti, che per vivere hanno abbracciato queste misere teorie, forse capirebbero, altro che condizionare la natura! Con quale potere condizionare questa natura. Forse perché non ne conoscono l’entità, credono di giocare con le costruzioni Lego. La montagna più grande della terra, immensa, come l’Everest, è stata scossa come un fuscello, e ha scaricato con una violenza inaudita, dalle sue pendici neve e rocce come scrollarsi la polvere dalle spalle, altro che impedire il cambiamento climatico. Poveracci, poveri illusi, e poveri di realismo. Invece, tutti dovrebbero pensare a come intervenire per limitare i danni futuri del riscaldamento climatico, che sarà comunque inarrestabile, cari Politicanti del mondo, a prescindere dalla demagogia ambientalista. Si dovrebbe provvedere a come limitare i danni, come? Ci sono fior fiore di tecnici che potrebbero dirci come, governando le acque per esempio, sia di terra che del mare, ripulendo l’ambiente, tenendolo ordinato e funzionante, e non inquinare comunque la terra e il mare e il cielo. Inutile lagnarsi se il mare cresce o produce danni alle costruzioni realizzate dall’uomo fin dentro l’acqua, ignorando che la terra è viva e che cambia come vuole senza ascoltare né i “gretini”, né gli “sverdi”.

Di studiare interventi che potrebbero mitigare, ridurre gli effetti del riscaldamento del clima, non se ne parla.

Il clima cambierà con o senza il permesso dell’umanità e nulla fermerà la natura, ma possiamo limitare i danni e prepararci. Viviamo per sfortuna o fortuna come si vuole, in un periodo in cui la terra ha deciso di cambiare la propria temperatura, come ha fatto mille anni fa, e come duemila anni fa, e come forse molte volte mille anni fa. Dio solo potrebbe fermare il cambiamento climatico, ma Dio non si interessa della Terra, checché ne pensino il Papa e tutti i pii Cattolici, ed io sono Cattolico. Ma per nostra fortuna ci sono i giovani “sverdi gretini”, nati già studiati, che ci salveranno; loro non hanno bisogno di studiare, basta manifestare e comunicare con i loro telefonini cellulari che funzionano ad energia elettrica, fatta principalmente con centrali a carbone. Mi fanno tenerezza.

Sarnano 7 novembre 2021

Arch. Giuseppe Gentili


Gli altri abitanti del mondo

Per amarli e avere cura di loro basterebbe pensare alla loro solitudine in ogni caso, nel bene, e nel male, per esempio una zampa o un'ala rotta, chi la cura, a chi lo dicono, chi procura loro da mangiare, un loro dolore chi lo lenisce. Solo morendo potranno stare meglio. Se gli uomini riflettessero su queste cose, capirebbero la natura, quella vera, non quella degli "sverdi" e forse amerebbero molto di più la condizione umana.


I documentari televisivi e la colonna sonora

Il sonoro che accompagna sempre il documentario televisivo, non migliora la bellezza del documentario, anzi ne limita moltissimo la percezione reale.

Dico reale, perché sarebbe molto più interessante e coinvolgente non mettere musiche di sorta come colonna sonora, ma far ascoltare il naturale suono dell’ambiente che si propone, che si vuole far conoscere.

Per esempio se vedo un panorama di natura, il suono di fondo dovrebbe essere il rumore del vento, dell’aria, il canto degli uccelli, il rumore del fiume, del ruscello, della cascata, il vociare delle persone, oppure il silenzio: quello che c’è realmente in quel luogo, oltre al commento.

Quasi sempre, anzi sempre, la musica copre il commento, la musica non c’entra nulla nel documentario, poiché se si vuole trasmettere la sensazione di essere in quel luogo, si deve trasmettere anche il suo suono e rumore, ma non la musica che disturba, e copre e confonde il commento.

In questi casi la musica diventa un rumore scomodo, fastidioso. In una trasmissione, non ricordo quale, la signora Colò parlò del silenzio di quell'ambiente che avrebbe voluto far percepire ai telespettatori, i quali non avrebbero potuto comunque assolutamente percepirlo per il suono-rumore della musica di fondo.

Altra volta in un documentario, di “Ulisse, il piacere della scoperta”, anche Alberto Angela, in una tomba etrusca, disse la stessa frase: “questo silenzio bellissimo in questo spazio…”, ma era impossibile ascoltarlo, percepirlo, per il rumore della musica.

Quindi i commentatori esaltano alcune volte il silenzio, poi questo non viene ascoltato ma coperto a causa della musica.

Non solo, non è che nel vedere il documentario si ascolta anche la musica per quello che essa è, poiché altrimenti non si presterebbe attenzione al commento.

Un ambiente va trasmesso con il suo suono naturale, allora documenteremmo esattamente quell'ambiente. Invece oggi ad ogni immagine televisiva è associato un commento musicale: sbagliato, molto sbagliato, questa non è musica è rumore fastidioso. Il sonoro musicale aggiunto andava bene per i film muti, dove altrimenti non ci sarebbe stato nulla oltre l’immagine ed il silenzio, ma attualmente le immagini posseggono il loro suono, che oltretutto ne esaltano anche la natura e la specificità.

Si deve eliminare la musica: solo il commento e il suono di fondo di quell'ambiente, il documentario ne uscirà molto arricchito.

La musica la si ascolta nei luoghi e nei momenti adatti ad essa.

Quando in televisione si trasmette la partita di pallone in diretta o registrata dallo stadio, che io non sopporto, non c’è colonna sonora, perché la bellezza, a chi piace, è proprio ascoltare il rumore dello stadio, della folla, il vociare generale ecc. Spero di poter vedere, prima o poi, qualche documentario sulla natura, sull'architettura, archeologia, sugli animali o quello che volete, senza musica, è ora di cambiare, cambiamo, e usciamo finalmente dal film muto.

Giuseppe Gentili, 2 luglio 2022

 


Il lavoro e precarietà

Sento straparlare di lavoro precario, specialmente oggi 1°maggio. Il mio è sempre stato un lavoro precario, e lo faccio da 50 anni, oggi ho lavoro da fare, domani non è sicuro, oppure domani non ho lavoro. Tutti i milioni di lavoratori con partita IVA sono precari, oggi hanno lavoro domani no. Tutti gli agricoltori hanno lavoro precario, perché dipende dal tempo e dalla possibilità di vendita del prodotto, ecc,ecc.. Il lavoro precario è quello della supermaggioranza degli Italiani, il lavoro precario non è esclusivamente quello attuale per i giovani, ma il lavoro precario è quello che in effetti manda avanti l’economia italiana, altroché, però è libero, nel bene e nel male.

Sindacati e sindacalisti, basta con questa lagna del lavoro precario, e visto che vi appassiona tanto, difendete anche tutte le categorie di lavoratori precari a vita succitati ed altri ancora, invece di essere di parte. Di questo non parlate vero? Altra lagna continua l’articolo n.1 della Costituzione, definita dalla sinistra “la più bella del mondo”, ha come primo articolo il lavoro. Grande errore, perché il primo articolo dovrebbe essere quello di una Repubblica basata sulla libertà, non sul lavoro, poiché, tanto per far capire a chi fa finta di non capire e usa queste cose in maniera demagogica, anche il lavoro senza libertà è lavoro, allora sarebbe comunque un’ ottima Repubblica quella basata sul lavoro di gente non libera, però tutti con un lavoro? Questo volete dire? Purché ci sia lavoro?. Anche in Russia di cinquanta anni fa lavoravano tutti, non lo ricordate? O fate finta?

Una vera Repubblica democratica si basa prima di tutto sulla libertà, poi il lavoro ognuno se lo trova da solo se gli va, proprio perché è libero, proprio perché la Repubblica è basata sulla libertà. Tanto è che molti scelgono di non lavorare, allora oggi,violerebbero la Costituzione, andrebbero puniti perché contrari all’art.1. Per certa gente, demagogica, ci vorrebbe qualche settimana al mese di “ pala e piccone e anche vanga”, che è il lavoro vero, poi potrebbero parlare di lavoro con cognizione di causa.

 


Il nulla della civiltà del nulla

Dopo l’ennesima sparatoria con morti e feriti avvenuta in un centro commerciale degli Stati Uniti, si continua a dare la colpa alla facilità di acquisto delle armi. Non si capisce, e non si vuol capire, che il problema sta nel nulla di questa civiltà del nulla e non nella facilità nel procurarsi armi. All'epoca di Caino e Abele non c’era la facilità di acquisto di armi, anzi non c’erano le armi di oggi, eppure Caino ha trovato il modo di uccidere Abele, con mezzi dell’epoca, spinto dal sentimento di invidia e della scoperta del solo diritto. Il nulla dell’attuale civiltà sta nel nulla dei valori espressi da i media, dalla scuola e dalla famiglia, nel nulla della politica, e principalmente nell'annullamento di ogni valore perpetrato dalla cultura di questo tempo che ha azzerato qualsiasi riferimento nell'ambito della famiglia e dei principi del vivere in comunità. La colpa è conseguenza della proposta che, nel nome del diritto, ha annullato ogni dovere ed ogni rispetto della vita umana, fin dal concepimento. La società basata sul diritto senza doveri porta ad ogni piccola controversia interiore dell’uomo, ad evitare il confronto con l’assoluto, e quindi a risolvere il problema in maniera immediata, autonoma, senza inibizioni di sorta, nel nome del diritto personale e non condizionato dal alcun senso morale, e risolvere quindi il tormento interiore con ogni mezzo. Ma questa è etica, non vogliamo alcuna etica! Non essendoci più alcun concetto di assoluto e sacro della vita e della consapevolezza, del rispetto degli altri, sempre in nome del diritto personale, le cose vengono risolte in questo modo. Le televisioni di tutto il mondo hanno azzerato completamente il concetto di valore preminente su tutto della vita umana, anzi di ogni tipo di vita, mediante documentazioni, film, teatralità, manifestazioni e giochi, dove la vita umana viene scardinata di ogni senso di sacralità, pertanto uccidere diventa un luogo comune e non più un fatto straordinario, sconvolgente e contro il concetto dell’esistenza dell’uomo. Quindi se continuiamo a vedere in televisione su i giornali e su qualsiasi mezzo di comunicazione che la vita in fondo non conta nulla, che è insignificante, e la si può eliminare con facilità e senza problemi, che è spettacolo, nulla impedisce di sopprimerla, proprio perché non protetta da alcun senso di coscienza, da nessun significato, è normale, è abituale. Anzi non esiste manifestazione sociale cinematografica letteraria ecc che non consideri come normale uccidere una persona senza alcun freno morale che ne controlli l’azione, basta vedere film, telefilm, serie televisive, spettacoli, articoli e commenti su i giornali, programmi televisivi ecc. ecc. Anzi i media hanno cancellato la parola morte e l’hanno sostituito con scomparso, ci ha lasciato e stupidità del genere. Solo l’esaltazione dell’effimero, l’effimero, l’inutile, mai notizie positive, costruttive, formative, rispettose. Si parla di morti e di morte, come fosse normale, è come fare colazione la mattina. La civiltà del nulla non ha più limite all’esaltazione del diritto privato su tutto, avendo eliminato ogni dovere morale, ogni freno sociale e di coscienza. Questi sono i risultati raggiunti dalla nostra civiltà. Come controvertire? Imponendo, sia in famiglia che nelle scuole, iniziando dalle materne, e nelle altre espressioni della società civile, il dovere di rispetto verso ogni forma di vita sulla terra, compresi animali e piante. Ma qualche ben pensante direbbe “fascismo, regime, dittatura, imposizione”, e la libertà di fare quello che cavolo mi pare? E il diritto? Il diritto!!!! Oggi tutti hanno un diritto, nessuno parla mai di dovere, tanto meno certi politicanti demagogici popolani, e lo debbo dire, specialmente di sinistra, dove l’ideologia è quella del diritto a tutto ed alla libertà di fare tutto.

Riaffermiamo il dovere di ognuno nei confronti di ogni altro essere vivente, ricostruiamo i valori della famiglia, e ridiamo senso e rispetto ad ogni vita umana, vegetale o animale, avendo presente nei nostri pensieri e comportamenti solo il dovere, il dovere, il dovere, prima di ogni altra, cosa, prima di ogni diritto, riappropriamoci del senso umano, dell’ umiltà, del senso dell’umanità, ed anche della Divinità. Dio è scomparso perfino nel Natale, figuriamoci.

Giuseppe Gentili, 6 maggio 2023


Povertà e demagogia

Ci sono alcune notizie ascoltate in televisione che mi infondono una irritante rabbia e una totale disapprovazione verso i cosiddetti gesti di bontà. Oggi ho ascoltato la notizia che in Vaticano è stato offerto un pranzo per i poveri, chiedo scusa, non si chiamano più “poveri” ma “fragili”, ecco già fatta una buona azione a favore di questi. Notizie simili si ascolteranno poi a Natale, a Capodanno, nella giornata del povero-fragile, istituita appositamente, ed ogni altra volta che qualche Ente Pubblico, per esempio Comune, o Associazione Umanitaria, tradotto “Buonista”, organizzerà un pranzo per i “fragili”, per quelli senza tetto, per gli abitanti della strada, oppure per quelli che non hanno di che alimentarsi. Poi, ogni volta, finito il pranzo ognuno per la sua strada. Queste sono le peggiori azioni sarcastiche, demagogiche, classiste, che possano essere fatte per i cosiddetti "poveri-fragili"; azioni che servono solo, come secondo fine, alla costruzione ideologica del consenso. Oltretutto azioni enfatizzate dalla collaborazione dei volontari buonisti, che per acquietare la loro coscienza si sbracciano in queste occasioni. Nel Vangelo mi pare ci sia scritto: ”non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra”, chi fa del bene lo deve fare senza dare notizia ad alcuno, in silenzio, in un rapporto anche anonimo e nel rispetto dell’umiltà del povero, non del "fragile" parola classista, indicativa di una persona fisicamente al disotto di te. Dico, scritto nel Vangelo, non nella rivista settimanale, o nel programma sociale televisivo, ma evidentemente mi sbaglio, se lo strombazzare di simili eventi viene puntualmente prodotto vuol dire che non ho capito nulla. Non c’è cosa peggiore per una persona priva del necessario, che gli venga ricordato e data l’illusione e l’assaggio, per un brevissimo tempo, di quello che lui non potrà avere, dato che, finito il pranzo, tutto torna come prima. Voi Enti Buonisti, fate le cose in silenzio, Vaticano compreso, senza alcuna divulgazione mediatica della vostra azione, altrimenti è pura demagogia. Oppure spendete soldi per provvedere ad unità abitative minime associate, dove far vivere queste persone, indipendentemente dalla propaganda, aiutandoli anonimamente verso l’autogestione. Fate queste cose in silenzio, con umiltà e Qualcuno le riconoscerà sicuramente, ma non la televisione o i giornalisti affaccendati a far conoscere quanto sono buoni alcuni uomini al contrario di altri che non fanno questo.

Io parlo così perché non sono buono, e queste cose non le faccio neanche come volontario.


Sciatteria ed eleganza

Chissà perché la sciatteria, la goffaggine, la trascuratezza, sono state elevate a stile, eleganza, contemporaneità: barbe incolte, lunghe, capelli con tagli da circo, tatuaggi e piercing su tutte le parti del corpo, camicie fuori dai pantaloni, pantaloni strappati e perfino unti, soprabiti informi e ricadenti anch'essi mezzi sdruciti, scarpe da ginnastica portate con vestiti blu e cravatta, copricapo non definibili formalmente, ecc. ecc. Perché, chiedo, anche i mezzi di comunicazione tutti, principalmente la televisione, esaltano questi comportamenti? Senza parlare delle persone dello spettacolo che pur di farsi notare, non per le loro capacità professionali, fanno di tutto. E pensare che dello stile ed eleganza l’Italia aveva fatto una cultura con una lunga storia, ed aveva un gran prestigio a livello mondiale. Non parliamo della bellezza dell’arte fino ai primi decenni del secolo scorso, poi anch’essa omologata in quello detto sopra. Un grande Papa aveva detto che questa è “la società del nulla”, ma tutti si adeguano, si conformano, si omologano, credendo che questa sia libertà di espressione ed evidenziazione della personalità, invece credo sia, come ho sentito dire: “gnoranza”, in senso latino e niente altro.

Giuseppe Gentili, 10 dicembre 2022


Giornata mondiale dei diritti umani

Oggi 10 dicembre 2023 i nostri capi laici e religiosi hanno inneggiato ed esaltato la giornata mondiale dei “diritti umani” mettendo in evidenza il valore di tali diritti che ogni essere umano è tenutario per natura, senza se e senza ma. Nessuno di questi capisciotti acculturati, ONU compreso, ha affiancato alla giornata dei diritti umani quella dei “doveri umani” che infatti non esiste. L’”Organizzazione Non Utile”, infatti non evidenzia il fatto che un diritto è tale se c’è anche un dovere, altrimenti avendo tutti gli umani solo diritti, questi sarebbero annullati dal fatto che non ci sarebbe nessuno a cui chiedere di rispettarli, perché in quel momento si configurerebbe un dovere, il diritto senza una controparte non esiste, e per tale motivo si è generata la società del nulla, basata esclusivamente sul diritto di qualsiasi genere. Un signore mi disse, qualche decennio fa, che il “diritto” di qualunque specie è cosa di sinistra, e che il “dovere” è cosa di destra, aveva ragione? Alla luce dei risultati credo di si, la cultura preminente passata e presente è di sinistra e questa ha prodotta questa società del nulla, che non va bene né a quelli di sinistra né a quelli di destra. La soluzione dovrebbe essere quella di istituire, nello stesso giorno, la “Giornata Mondiale dei Diritti Umani e la “Giornata Mondiale dei Doveri Umani” equiparandoli e soppesandoli ugualmente. Forse in questo modo tra qualche decina di decenni si riuscirà a modificare in meglio questa società del nulla.

Giuseppe Gentili, 10 dicembre 2023


Il Lavoro Vero

Inserisco questa foto facile facile: chi non usa questi attrezzi o similari, non può dire: “io lavoro”. Qualunque altra attività, la mia compresa, non è lavoro e "attività", e dopo non ha bisogno di docce. Quando ascolto in televisione o leggo su i giornali la parola "lavoro", e non vedo questi attrezzi, non è lavoro, è demagogia, compreso quello dei giornalisti, anzi quello assolutamente no.

Giuseppe Gentili, 28 agosto 2023


I prezzi dei prodotti rurali

Ogni giorno la lagna dell'aumento dei prodotti agricoli, ortaggi di ogni genere. Oggi: i pomodori sono troppo cari ed aumenteranno ancora di costo. Tutti i giornali e giornalisti capisciotti fomentano il malcontento con la citazione dell'eccesso dei prezzi dei prodotti agricoli: io dico che i prodotti agricoli dovrebbero costare dieci volte di più, cosi i costituenti della società del nulla si renderebbero conto dei veri valori, di quelli che contano, che non sono quelli pallonari, del telefonino, del teatro, della vacanza, del tatuaggio ecc. Non mi risulta che i capisciotti giornalisti contestino il costo del pallonaro, dell'allenatore, dell'attore e simili, non mi risulta che contestino questi costi. Il valore vero delle cose, in questa vita, è quello che ti sfama all'ora di pranzo e all'ora della cena la sera, cioè il prodotto dell'agricoltore, dovunque esso sia dislocato nel mondo. Questa sera tutti, dico tutti, dovranno mangiare un prodotto dell'agricoltore, anche il pallonaro ed il giornalista. Capito? Capito quali sono i valori veri, popolo di questa società del nulla? I prezzi sono cari? Peggio per voi. Andate voi accompagnati dai lamenti a produrre direttamente quello che vi serve per pranzo e per cena invece di stare dietro al telefonino ed ai messaggi in esso contenuti, mangiatevi il telefonino. Buttate il telefonino e comprate un pezzetto di terra, la zappa, la vanga, e un secchio per annaffiare le piantine, e forse dopo cambierete idea e capirete quali sono i veri valori. Ah, dimenticavo che il valore maggiore dei giovani contemporanei, sia quelli veri per età, sia quelli che si travestono da giovani, è la presenza in discoteca con tatuaggi e piercing,

Le aree dei parchi delle città dovrebbero essere date a cittadini volenterosi per produrre la vera ricchezza, cioè l'alimentazione, almeno potrebbero coltivare un orto, e chi non ha voglia di coltivare, non mangia, capito bene? Non mangia, però potrà continuare a giocare con il telefonino, a vedere le partite, farsi i tatuaggi ecc.

Giuseppe Gentili, 20 agosto 2023


L'agave e l'uomo

Questa è la foto della mia agave che sta fiorendo. Con questa foto ringrazio tutti quelli che mi hanno fatto gli auguri oggi, 2 agosto, giorno del mio settantacinquesimo anno di vita su questo mondo. Riflessione: quale è il nesso tra l’agave in fiore ed il mio compleanno? Questo seguente è il nesso.

L’agave ha impiegato circa 35 anni, poco più, per arrivare alla fioritura. In tutti questi anni ha messo da parte tutte le energie possibili, tutta la sua capacità vegetativa , tutta la sua abilità di resistenza contro temperature non adatte a lei, contro il vento forte, contro la mancanza d’acqua, vista la sua dimora su terreno roccioso tra due muri esposti a sud. Tutta la sua vita è stata concentrata, proiettata ad accumulare energie affinché raggiungere la condizione ed il tempo che l’ha portata a far crescere in pochi mesi, uno stelo di 6 -7 metri , ed essere nella fase di una splendida, fantastica, quanto unica fioritura, ultima espressione della sua vita, per poi morire.

Questa è la cosa meravigliosa confrontata con la mia età.

Anche io ho fatto del mio meglio per raggiungere il tempo dell’anzianità e della vecchiaia. Al contrario del comune pensiero, questa è l’età della massima coscienza e conoscenza, cioè il periodo nel quale sono stati accumulati tutti i saperi possibili, tutti i pensieri, concezioni e filosofie elaborate ed accatastate nell’ essere, per poter quindi renderle manifeste nella raggiunta saggezza, e poi morire.

Questo è il nesso tra me e l’agave, tra la fioritura dell’agave e l’ anzianità e la vecchiaia dell’uomo.

Questo periodo della vecchiaia o anzianità come si vuole, viene visto come declino, non come sintesi delle esperienze accumulate, della massima conoscenza ed esperienza, della memoria strapiena di dati e di modi di vivere. L’uomo non vede questo tempo come la fioritura dell’agave prima di morire, ma come morire lentamente prima della fioritura. Salvo poche eccezioni

Messaggio ai giovani: non sprecate il tempo dietro al nulla, ed alla civiltà del nulla, accumulate buone energie concetti e filosofie durante la vostra vita, per poter poi fiorire nella vostra vecchiaia, come fa l’agave, che affascina ed è ammirata per la sua bellezza finale.

Giuseppe Gentili, 2 agosto 2023