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26. Il Restauro


Restaurare un qualunque oggetto prodotto dall’uomo nella sua storia millenaria, qualunque esso sia, sinteticamente potrebbe significare ridare immagine ed efficienza originaria al manufatto, e forse dovrebbe significare proprio questo, immagine ed efficienza, affinché si possa tramandare nei secoli quello che comunemente chiamiamo cultura delle popolazioni fin dalle sue origini. Il problema immediato che si pone è quale immagine e quale efficienza poiché il tempo naturalmente stratifica sul manufatto un insieme di immagini ed efficienze per cui quando la cosa arriva a noi è diventata rispetto all’origine qualcosa di leggermente diverso o enormemente diversa, con sovracose, immagini e sensazioni incastrate ed ora complementari. Essendo architetto mi sto interessando delle manifestazioni dell’uomo per quanto relative all’arte in generale e specificatamente all’architettura. Se parlassimo di restauro di tecnologie o di macchine forse la questione non si porrebbe o si porrebbe in termini semplificati. Una macchina, un oggetto meccanico per restaurarlo basta ridargli funzionalità originaria l’immagine non c’entra, al massimo il colore. E’ impossibile trovare una macchina o un meccanismo, antichissimo o vecchio, modificato con sovrastrutture, non si riscontra una biga romana con un motore, ma si potrebbe trovare una casa romana con impianto elettrico.

Quindi il restauro degli edifici, che l’uomo ha costruito nell’arco dei secoli sia per la propria protezione fisica dalla natura che per la propria protezione spirituale, templi e manufatti di vario genere e del loro uso o riuso in tempi attuali, comunque diversi dalla loro genesi è un vecchio problema irrisolto e del quale sono state redatte numerose procedure d’intervento che fanno capo alle varie scuole di pensiero.

Il dilemma tipico e storico almeno della storia della seconda metà del secolo XX è conservazione come musealizzazione o conservazione metamorfica con inserimenti e trasformazioni.

Il restauro di un insieme di edifici non può prescindere dal concetto che si ha del restauro del singolo edificio e la metodologia non è affatto diversa.

( in seguito chiamerò X il complesso o l’edificio o similare per non cercare sempre nuovi sinonimi).

Per procedere al restauro di una architettura e ridare immagine ed efficienza, che poi tutte e due le cose non sempre si possono ottenere, è necessaria per prima cosa, la conoscenza storica del complesso o dell’oggetto intesa sia come storia 1, in assoluto cioè riferita alla tipologia in esame, sia alla storia 2, specifica, cioè alla nascita e vita dell’edificio.

La conoscenza dell’archeologia e della storiografia è la strada che ci conduce con certezza a porre in atto interventi di restauro conseguenti ed adeguati.

Ora potrebbe anche essere possibile in un modo o in un altro conoscere le storie 1-2 dell’X, ma succede 99 casi su cento che la completa conoscenza della storia 2 avviene proprio durante gli interventi di restauro sull’X che pertanto ne modifica il progetto e l’andamento dei lavori.

Durante i lavori tra le varie stratificazioni evidenti possono venir fuori elementi sconosciuti fino a quel momento per cui sia il progetto previsto che i lavori conseguenti debbono subire modifiche a volta anche rilevanti. Immediatamente di conseguenza a casistiche di questo genere si pone il problema stravecchio della poca utilità della redazione del progetto di restauro. A prescindere dalle opere da eseguire nel restauro, direi che il progetto serve solo alla burocrazia e che all’edificio da restaurare serve solo la conoscenza della storia sia 1 che 2 e la presenza continua sul posto dell’architetto.

In un capitolo a parte porrò il problema delle figure direttive del restauro architettonico: l’architetto e l’archeologo.

Proseguendo nell’ipotetico restauro dell’oggetto X , dopo essere coscienti della storia tipologica e soggettiva, in fase operativa si presentano le stratificazioni architettoniche che possono essere di piccola entità ma di grande interesse storico culturale, oppure di rilevante volumetria ed incidenza d’immagine ma di scarso o nullo valore. Un problema immediato è quello di poter stabilire quando una cosa è interessante, quindi di valore storico culturale e quando non lo è. Poi ci sono le varie età di stratificazione, più l’età è antica e più vale? Quindi anche se l’oggetto è insignificante va lasciato a discapito di qualche cosa più recente ma molto più diciamo bella? A chi lo chiediamo! Chi è in grado di dire questo resta e si conserva con le dovute opere per la consegna ai posteri, questo invece va distrutto.

L’oggetto X di duemila anni fa potrebbe essere un semplice muro e pavimento fatto da un anonimo ed insignificante muratore, che alla sua origine era un bel niente che dal punto di vista della evoluzione architettonico-tecnica o artistica è zero, chi deciderebbe di distruggerlo per evidenziare magari la unitarietà di qualche cosa più recente ma molto più caratterizzato architettonicamente, chi argomenterebbe sul lasciarlo o meno, perché in questo caso qualunque sia la scelta sarà sempre per metà sbagliata, allora?

Il problema della scelta della stratificazione dasacrificare per procedere al restauro è il vero e grosso interrogativo che ci si deve porre nel mettere mano a lavori di questo genere.

CONTINUA......