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48. Classismo sociale e razzismo culturale nascosti


I giornalisti sono classisti, peggio che razzisti, specialmente nel caso della morte di una persona. Se muore uno della pseudo-cultura, specialmente mediatico-teatrale-cinematografico-musicale, giornalistica e simili, la notizia si presenta come: il suddetto è “scomparso, si è spento, ci ha lasciato, è venuto a mancare, è andato”, cade un operaio dall’impalcatura: ”è morto”. Il lavoratore della massa, chiunque esso sia, muore, checché, invece l’ acculturato scompare, non può morire è troppo superiore.

Questa cosa, questo linguaggio differente, è eclatante, è subdolo, odioso, razzista e classista, non ci si fa caso, né ascoltando la TV né leggendo i giornali.

È assuefazione, ma è dichiaratamente classismo e razzismo culturale dei giornalisti, degli operatori della comunicazione.

A seconda dei casi della collocazione sociale, si nega la morte.

Sarnano, 2018

Arch. Giuseppe Gentili